Aldo Rontini è un artista consapevolmente inattuale.
Fin dai suoi esordi all'Istituto d'Arte per la Ceramica di Faenza ha manifestato predilezioni e attenzioni nei confronti di maestri, allora, ormai quasi dimenticati da una critica superficiale e connivente con le maldestre espressioni di una modernità ceramico-artistica oggi, sempre più, in odore di facile pressapochismo.
I suoi riferimenti ideali andavano invece, senza eccessivi consensi e manifeste incomprensioni, ai grandi scultori del Novecento italiano tra le due guerre, Domenico Rambelli, Arturo Martini e Angelo Biancini in primis, e via via fino alla scultura barocca e rinascimentale, con qualche affondo anche nell'arte classica.
Dotato di rare capacità di perizia plastica, Rontini ha da sempre dialogato con la grande tradizione scultorea italiana riservando agli stimoli della contemporaneità un compito di attualizzazione iconografica ma mai di negazione di un antico ideale di perfezione e di forma.
Una forma e una sua declinazione in chiave figurativa, narrativa ed evocativa, tuttavia, che oggi non possono ripresentarsi che sotto l'aspetto del frammento, del dettaglio e dell'allusione mancando loro sostegno ideale e condivisione culturale e immaginifica da parte di una società ben diversamente orientata.
La sua poetica illusione ha, tuttavia, solide e centenarie fondamenta. Con il più umile e il più nobile dei mezzi espressivi, la terracotta, Rontini ha perseguito una solitaria via tra le asperità del presente sapendo sempre ricondurre le sue espressioni scultoree nell'alveo dei più ampi e autorevoli consessi artistici della storia e contribuendo ad elevare a dignità d'arte e di sentimento anche manifestazioni relegate nell'ambito delle “arti minori”: devozionali, decorative, popolari o marginali esse siano o appaiano, ancora oggi, come tali.
I suoi cuori ex voto ingigantiti e trafitti, i suoi nudi maschili deformati e troncati, i suoi torsi che si diluiscono in barocche movenze plastiche arrossate dal colore di una materia infiammata da un cocente tramonto estivo o da un incendio recano i segni di una tensione e di una febbre quasi manieriste.
Quella malinconia che connota l'arte classica fin dall'Ermes di Prassitele, nel segno del rimpianto di una mitica età dell'oro o dell'Arcadia in epoche classiciste, si è in Rontini modernamente somatizzata. Di questa stessa febbre hanno sofferto anche Pontormo, Rosso Fiorentino e, più vicino a noi, Scipione e Leoncillo.
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